Il Corriere della Sera, nella pagina dei commenti, ci racconta l’ultima sfida lanciata dallo sport in occasione delle Paralimpiadi: cancellare la parola “disabile” per definire gli atleti che concorrono alla manifestazione. Il perché lo spiega il presidente del comitato paralimpico internazionale sir Philip Craven:«Qui parliamo di sport — afferma —. Non si tratta di disabilità. Io vengo dallo sport». Al di là dei rischi di una posizione eccessivamente filosofica (che rischierebbe di svilire il senso dello sport paralimpico), il linguaggio attorno alla disabilità resta (come in tutti i casi di «minoranze» colpite da ignoranza e pregiudizi) un termometro del rispetto e della crescita civile. Per questo, dal 2007 una convenzione dell’Onu (ratificata dall’Italia nel 2009) ha dato un’indicazione fondamentale: parlate di uomini o donne con disabilità. Dire disabile significa concentrare l’attenzione sulla condizione e non sulla persona. Utilizzabile invece «disabili» al plurale perché in questo caso si indica un gruppo.E quindi:«Si sa cosa significa la parola disabile. Che qualcosa non funziona. Ti piacerebbe che ti definissero così? Se vuoi usarla, la decisione è tua. Ma prova ad abbandonarla. Difficile all’inizio, ma val la pena di provare».
By Giornalettismo
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