La vita media continua ad allungarsi di tre mesi ogni anno ma la longevità ha come effetto collaterale il declino cognitivo. Infatti, il numero dei soggetti con demenza aumenta di 5 milioni ogni anno. E' in continuo aumento anche la depressione: secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2030 sarà la malattia cronica più diffusa. Ma ora emerge un nuovo dato: depressione, demenze e memoria sarebbero strettamente collegate tra loro. E' questa la conclusione a cui sono arrivati di recente i ricercatori che hanno identificato la depressione come fattore di rischio per alcune malattie cronico-degenerative dell'età anziana. Un tema che è stato al centro della conferenza 'Memory in the Diseased Brain', promossa dall'Accademia Pontificia delle Scienze e dedicata ad approfondire il legame tra meccanismi alla base dei processi cognitivi e memoria e le patologie del sistema nervoso centrale. Abbiamo chiesto ad alcuni dei maggiori esperti mondiali, che hanno partecipato all'evento, di spiegarci qual è il nesso tra memoria, depressione e demenza
La terapia fa bis
Un'altra conclusione cui sono giunti i ricercatori è che curare la depressione potrebbe aiutare a diminuire l'incidenza della demenza. "L'ipotesi è che trattare la depressione possa diminuire l'incidenza di demenza e che gli antidepressivi non siano una terapia per l'Alzheimer, ma rappresentino una forma di 'protezione'. Il trattamento per la depressione, infatti, ha un effetto sia sul recupero del 'funzionamentò individuale e sociale dell'individuo che di stimolo sulla plasticità cerebrale e la creazione di nuovi connessioni grazie a un'azione neurotrofica che stimola la produzione di fattori di crescita" spiega Marco Andrea Riva, del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell'Università di Milano. "I nuovi farmaci antidepressivi multi-modali hanno un meccanismo di azione diverso rispetto a quelli tradizionali come gli SSRi. Non solo aumentano i livelli sinaptici di serotonina, ma modulano significativamente anche altri neurotrasmettitori, tra cui il glutammato, con un'attività importante su due aree cerebrali: l'ippocampo e la corteccia prefrontale. Il risultato è sia una modulazione del tono dell'umore che il miglioramento dei sintomi cognitivi (memoria, attenzione, focalizzazione), che rappresentano un aspetto importante nei disturbi psichici" conclude il farmacologo.
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