[L’ente contestava un’indebita percezione di 214mila euro]
La Spezia, 25 aprile 2015 - ORFANO di entrambi i genitori, down, solo al mondo, ospite di una comunità della Riviera spezzina e seguito da un amministratore di sostegno. Una vita segnata dal dolore e dalla disabilità. E compromessa, sul piano del mantenimento, dalle determinazioni dell’Inps: sospensione della pensione di reversibilità del padre deceduto, ordine di restituzione delle somme «indebitamente» ottenute nel corso degli anni con l’assist previdenziale: 214mila euro, nel frattempo in gran parte spesi per le ‘rette’. E questo per il fatto che, nell’ambito del programma di recupero elaborato dall’amministratore di sostegno, il disabile svolgeva un lavoretto part-time, con percezione di 436 euro al mese, quasi la metà dell’importo della retta. Una mazzata tremenda per C.A., 51 anni, spezzino, trattato alla stregua, quasi, di un truffatore; contro di essa l’uomo down, dal 1994 riconosciuto invalido, ha levato gli scudi, facendo ricorso al giudice del lavoro Giampiero Panico. Risultato: il magistrato ha dichiarato illegittime le pretese dell’Inps, ha riconosciuto il diritto del disabile a riottenere la pensione congelata e ha annullato l’ordine di restituzione delle somme che l’Inps gli aveva ordinato di restituire. Vittoria su ogni fronte del ricorrente, assistito con successo dall’avvocato Cristina Saisi; il legale, oltre ad evidenziare che essere inabile al lavoro non preclude la possibilità di svolgere attività che hanno finalità terapeutiche e non producono un reddito apprezzabile (come nel caso di specie), ha dimostrato la buona fede che fu alla base dell’attivazione del contratto di «avviamento obbligatorio» al lavoro finalizzato a contenere il disagio. L’iniziativa dell’Inps era di fatto maturata a seguito della comunicazione dell’amministratore di sostegno, l’avvocato Alice Giudice, all’istituto di previdenza, con contestuale versamento dei contributi.
Della serie: tutto avvenne alla luce del sole, altro che furberie. Il giudice, accogliendo il ricorso dell’avvocato Saisi, rileva: «....è vero che il ricorrente svolge attività (lato sensu) lavorativa con percezione di una entrata periodica, ma è documentale che la stessa è stata regolarmente avviata e, soprattutto ai nostri fini, denunziata all’Inps., al quale viene puntualmente versata la contribuzione: onde, il ricorrente non ha tenuto alcun comportamento volto ad occultare l’esistenza del rapporto di lavoro, mentre l’Istituto, fin dal principio, aveva tutti gli elementi per avvedersi, senza attendere quasi dieci anni, della possibile situazione di incompatibilità». Situazione comunque non emersa dall’articolata ricostruzione processuale. Di qui l’insussistenza dell’indebito contestato e la condanna dell’Inps a rimettere in pagamento gli assegni pensionistici (tra mensilità sospese e futuri versamenti) e a pagare le spese processuali. Col monito implicito: prima di attivare certe procedure sulla pelle dei più deboli pensate bene a quello che fate...
di Corrado RicciLINK
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